Circa un anno fa, giorno in più giorno meno, ci ritrovavamo intorno alla firma di Simone Inzaghi come futuro della Lazio. Due anni prima, la piazza lo accolse con scetticismo dopo il forfait Bielsa, con scetticismo fu accolto anche da calciatore nel lontano 1999. Quasi 20 anni: da giocatore alla panchina della prima squadra, ha respirato a pieni polmoni l’ambiente capitolino.

Ed ora tocca a lui ancora una volta: è proprio il mister a doversi far carico dei nuovi arrivi in quel di Formello.

Lui che senza batter ciglio, ha accettato di essere il tecnico meno pagato in Serie A. Una scommessa vinta, una Supercoppa alzata al cielo grazie ad uno dei suoi “ragazzini” , Alessandro Murgia, un anno per affermarsi e poi passare dal via riscuotendo consensi e qualche soldo in più.

Grazie all’esperienza con i giovanissimi, è cresciuto, ha sperimentato, ha imparato a dialogare con i calciatori, ad ascoltare i loro bisogni e tamponare ai loro capricci.

Dai ragazzi ai “grandi” ed il rischio di bruciarsi troppo in fretta. Simone però ha accolto la sfida col petto gonfio, ad essere “di passaggio” non c’è stato, ha deciso di puntare su sé stesso e seguire il suo istinto. Il cuore nella corsa a bordocampo che seguiva la galoppata di Immobile verso il gol nel derby di Coppa Italia, quasi a dire “passa sono libero”, l’esultanza alla rete di Milinkovic-Savic seguita da un abbraccio sulla bandiera ed un tonfo in terra, la scivolata per festeggiare il risultato in Europa League. Momenti che fanno sorridere sì, ma raccontano anche il cuore di un tifoso più che un allenatore.

Un destino rovesciato all’improvviso, perché due anni fa, mentre se ne stava sotto l’ombrellone osservando le questioni convulse in quel di Formello, aveva la valigia pronta per Salerno dopo aver assaggiato solamente la Lazio lasciata da Pioli. E poi arriva una telefonata: la panchina biancoceleste è sua , per quanto non si sa.

A fargli il regalo Bielsa che aveva reso una squadra “orfana” dell’allenatore poco prima del ritiro di  Auronzo.

In partenza verso il Sud, si trovò scaraventato nella capitale. Lotito dice ora che Inzaghi fu la prima scelta, ancora prima del forfait del “Loco” , ma la verità è che Simone firmò un contratto iniziale di poche settimane, giusto il tempo di trovare un altro allenatore.

Una panchina che era “fuoco”, a giocarci potevi scottarti, ma il piacentino pretese un accordo di almeno un anno e le condizioni migliori per fare il suo lavoro. Il suo personale salto di qualità.

“Servo di Lotito”, “Piccolo uomo”, questa fu l’accoglienza di quei tanti che ora lo inneggiano.

Come Pioli prima di lui, Inzaghi si è allontanato dai riflettori, ha accettato lo scetticismo senza alcun proclama, senza arringhe di vario genere, ha fatto solamente ciò che doveva fare.

Ha preso i giocatori e come Re Mida, li ha trasformati, Milinkovic-Savic oggetto del desiderio da 130 mln, Alberto il “fantasma”, Immobile con alle spalle i momenti bui, Biglia venduto a più di 20 mln con trent’anni superati sulla carta di identità.

Per non dimenticare Hoedt, “scarparo” diventato un giocatore discreto, ceduto con una plusvalenza stellare di 17 mln.

Numeri e nomi che dimostrano solamente una cosa: il mister sa fare il suo lavoro.

Però anche ad Inzaghi non sono ammessi i miracoli. Perché continui un percorso eccezionale in casa Lazio, adesso tocca alla società metterlo nelle migliori condizioni, tocca alla società garantirgli la “materia prima”, allungare la copertina da sempre corta, colmare il gap tra panchina e titolari.

Basta con i vari Caicedo presi da giacenze di magazzino di qualche club, perché i campioni non li prendi coi “buoni pasto”,  è il momento di finirla anche con le scommesse al lotto buttate a caso su qualche ruota e dei giovani di belle speranze ma senza un bagaglio alle spalle.

Adesso è arrivata l’ora di centrare i sogni, di varcare i cancelli dorati della Champions, gli occhi sono puntati su Inzaghi, non è lui però a dover fare tutto il lavoro. Il lavoro sotto traccia è roba che spetta alla dirigenza!

Il 20 maggio ha portato alla luce il malcontento, lasciate che però vi dica che, dimenticando la notte folle di Salisburgo, il percorso in Europa League ha mostrato una crescita, così come il campionato.

Il tabù dello Juventus Stadium è stato infranto e con lui anche quello della stagione buona seguita dal grande flop.

Simone Inzaghi vi ha dimostrato di essere prima di tutto un laziale seduto sulla panchina della Lazio, sulla panchina giusta. Di essere uomo prima di ogni cosa e di seguire l’istinto, non solo il mero modulo.

Ha sbagliato, sbaglia anche Mourinho, nessuno per quanto grande sia, è immune allo “sbaglio”. Ciò che conta è sapersi rialzare, ma anche Mago Merlino non può fare i miracoli. Non si costruisce un palazzo senza solide fondamenta.

Inzaghi c’è

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